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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento Collettivo
Data: 27/09/2005
Giudice: Schiavone
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 715/05
Parti: Fabio c. / Parma F.C. SpA / Parma A.C. SpA in amministrazione straordinaria
LICENZIAMENTO COLLETTIVO - REQUISITI PROCEDURALI POSTI A GARANZIA SIA DEL SINDACATO SIA DEI SINGOLI LAVORATORI - IMMOTIVATO DEMANSIONAMENTO COME FATTO DIMOSTRATIVO DELL’OBSOLESCENZA DELLE COMPETENZE PROFESSIONALI - MISURA DEL DANNO: DOPPIO DELLA RETRIB


Una lavoratrice che, a seguito di un periodo di demansionamento veniva licenziata nell’ambito di una procedura di mobilità, impugnava il suo licenziamento ritenendolo inefficace richiedeva il risarcimento dei danni da dequalificazione. Il Tribunale di Bologna respingeva la prima domanda e accoglieva la seconda, quantificando il danno in Euro 10.000 e conseguentemente la lavoratrice proponeva appello, mentre la società a sua volta proponeva appello incidentale tardivo chiedendo la riforma sul punto della condanna al risarcimento dei danni da demansionamento o quantomeno la riduzione del suo ammontare.

La Corte d’Appello di Bologna conferma punto per punto la sentenza di primo grado. Per quanto riguarda le censure sui vizi della procedura: a) non ravvisa vizi sulla comunicazione iniziale di cui al comma terzo dell’art. 4 della legge n. 223/1991, pur riconoscendo che essa deve essere “idonea a contribuire alla conoscenza che il sindacato deve avere per esercitare efficacemente il ruolo di cogestione che la legge gli assegna” (Cassa. N. 13196/03) e che, sebbene i destinatari della comunicazione siano le O.S., “tutti gli obblighi di informazione e di trasparenza sono posti non solo a garanzia del sindacato, quanto anche dei singoli lavoratori i quali, in caso di violazione, possono domandare l’accertamento dell’inefficacia del licenziamento” (Cass. n. 302/00); b) parimenti non ritiene violate né la forma né la sostanza e lo spirito delle disposizioni contenute nel nono comma dell’art. 4, che si dichiara finalizzato “a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti” e “se tutti i dipendenti in possesso dei requisiti previsti siano stati inseriti nella categoria da scrutinare e, in secondo luogo, nel caso in cui i dipendenti siano in numero superiore ai previsti licenziamenti, se siano stati correttamente applicati i criteri di valutazione comparativa per la individuazione dei dipendenti da licenziare” (Cass. n. 16805/03), essendo essenziale che risultino “le modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, indicazione che presuppone l’evidenziazione di tutti gli elementi (criteri generali e dati specifici) che hanno portato all’identificazione dei dipendenti prescelti per la mobilità (con specificazione, quindi, in caso di applicazione in concorso dei tre criteri di legge, anche dei criteri con cui gli stessi sono stati fatti interagire” (Cass. n. 880/05) allo scopo di porre in grado “il lavoratore di percepire perché lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo” (Cass. n. 15377/04).

In merito al demansionamento la Corte dichiara di condividere la tesi secondo la quale “deve escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica dequalificazione professionale” e quella per cui “grava sul lavoratore l’onere di fornire la prova, anche attraverso presunzioni, dell’ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice di merito il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l’ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa” (Cass. n. 16792/03). Argomentano i giudici bolognesi che il nostro ordinamento, a differenza di quelli di stampo anglosassone, non prevede, anzi esclude i cd. “danni punitivi” (che altri ha recentemente ribattezzato “danni normativi” al fine di sottolinearne la discendenza dalla sola violazione di un precetto): “E’ invero una conquista di civiltà il fatto che il risarcimento del danno non debba essere fonte di arricchimento del danneggiato (…) Un sistema siffatto, riecheggerebbe quello incentrato sulle pene private che la nostra tradizione non accetta (Cass. n. 6992/02) in nome della parità delle parti nei rapporti iure privatorum, con la sola eccezione, costituzionalmente non ineccepibile, del potere sanzionatorio del datore di lavoro”. Nel caso concreto, peraltro, la Corte d’Appello condivide l’opinione del primo giudice secondo cui “l’immotivato demansionamento della dipendente, la sua assoluta (o quasi) inerzia sono sicuramente fatti dimostrativi della progressiva obsolescenza delle competenze professionali acquisite, specie in un’organizzazione del lavoro quale quella attuale, che prevede l’introduzione di strumenti telematici in continua evoluzione, quindi in perenne adattamento” Rispetto alla quantificazione del danno, così statuisce la sentenza in commento: “a parere di questa Corte la somma liquidata dal Tribunale sostanzialmente pari a circa il doppio della retribuzione per il periodo di privazione delle mansioni, pare rispondente ad equità per ristorare il relativo danno”.